Vergato (Bo) 30.4.1887- Ceriale (Sv) 4.21983 professionista dal 1909 al 1926, vinse il giro d’Italia nel 1914. Nell’edizione del giro del 1914, in cui si susseguirono fatti rocamboleschi come bufere di neve tempeste e ripetuti tentativi di sabotaggio ai suoi danni, stabilì anche una serie di primati ancora imbattuti: vinse infatti con 1 ora,55 minuti e 26 secondi di vantaggio su Pierino Albini (il maggior distacco mai inflitto dal vincitore al secondo classificato.
Inoltre al Giro del 1914 fece registrare la media di velocità più bassa di sempre (23,374 km\h) e il minor numero di atleti giunti a Milano(appena 8). In quel giro venne inserita anche la tappa più lunga di sempre, la Lucca-Roma di ben 430 km vinta da Costante Girardengo, in cui Calzolari difese il primato conquistato dalla tappa precedente.
Al di là dei titoli conquistati, basti un aneddoto: alla fine degli anni Trenta fu Pavesi a scoprire il dilettante Fausto Coppi e a lanciarlo come gregario del già affermato Bartali, dando il via alla lotta tra campioni che divise e appassionò l’Italia.
Dagli anni Trenta agli anni Sessanta, mentre il ciclismo diventava lo sport più popolare del Paese e la squadra corse mieteva un successo dietro l’altro, la Legnano costruì alcune tra le più belle biciclette mai viste. In città non mancavano fonditori, tornitori, artisti della saldatura e tecnici capaci. Chi alla Franco Tosi poteva costruire un sottomarino come l’Archimede, nel capannone poco più in là era in grado anche di fare una bicicletta come si deve. Solo per restare ai mezzi da gara, negli anni Cinquanta nello stabilimento che si affacciava su via XX Settembre furono costruiti capolavori assoluti come i modelli Roma: leggerissimi, velocissimi, equipaggiati con la componentistica migliore e curati in ogni dettaglio.
Nell’epoca del tutto carbonio provate a mettere una Roma del 1956 di fianco a un top di gamma di oggi, la differenza salta all’occhio: nel 2019 le biciclette sono tutta tecnica, anche il colore spesso serve per contenere il peso; mezzo secolo fa invece c’era ancora spazio per il bello fine a se stesso, e così ecco che sui telai delle bici che vincevano spiccavano cromature e filetti rossi, mentre lo stemma del Guerriero sbalzato in ottone svettava in campo bianco.
Il verde Legnano merita poi qualche riga a parte: c’è chi sostiene sia un colore a sé, in verità era il risultato di un trattamento complesso. I telai erano verniciati d’argento e poi ricoperti di tante mani di verde trasparente fino a che prendevano la caratteristica colorazione ramarro. Ecco perché a distanza di decenni oggi è difficile trovare due biciclette Legnano che abbiano lo stesso colore.
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