T’ Ortelli
binomio perfetto
Continua a leggere “Ortelli corsa 1971”"Il paradiso in terra non esiste, ma chi va in bicicletta ci arriverà comunque." – Parrini
Antonio Alpi detto tugnazì, prima della seconda guerra mondiale faceva il garzone di bottega nella officina di Lazzaro Ortelli padre di Vito
Nacque nel 1896 a Faenza e morì nel 1959
Alpi fu un grande artigiano sia per la precisione nella costruzione dei telai che per quella dei mezzi con cui costruirli.
Abbelliva i telai utilizzando delle etichette , su cui , ancora prima della costruzione del triangolo portante della bici ,faceva colare un acido che risaltava la scritta con il suo nome,
il telaio fu costruito dal suo maestro Antonio Alpi , detto “Tugnazi ”
nacque nel 1896 a Faenza e morì nel 1959
Alpi fu un grande artigiano sia per la precisione nella costruzione dei telai che per quella dei mezzi con cui costruirli.
Abbelliva i telai utilizzando delle etichette , su cui , ancora prima della costruzione del triangolo portante della bici ,faceva colare un acido che risaltava la scritta con il suo nome
guarnitura Campagnolo prima serie
cambio Campagnolo record prima serie
mozzi ferro e alluminio flangia larga Campagnolo
pipa Cinelli
manubrio Ambrosio champion
Vito Ortelli
Nasce a Faenza nel 1921 in un incubatoio dell’azienda Marabini dove lavorava il padre. A soli 6 anni Vito è stato probabilmente il più giovane ciclista dei suoi tempi, nel 1927 infatti le bici per i bambini non erano ancora state ancora immaginate ma il padre, riducendo i cerchi e adattando gomme e camere d’aria, riuscì a costruirgli una piccola bici, lasciandola però volutamente senza freni per costringerlo a non andare troppo forte, a giudicare da come andarono poi le cose, uno stratagemma decisamente poco riuscito. Dalle prime scorribande con quella piccola bici tagliò nell’arco della sua carriera molti traguardi diventando uno dei più importanti campioni nella storia del ciclismo, l’unico nell’immediato dopo guerra in grado di competere allo stesso livello con Coppi e Bartali.
Nel 1938 lascia l’officina dove lavorava con il padre e dove già a 15 anni saldava i telai, per intraprende la carriera di corridore durante la quale è stato in totale quattro volte campione italiano: due su strada, da allievo e professionista e due su pista, battendo entrambe le volte Fausto Coppi. Al Giro d’Italia ha ottenuto un terzo e un quarto posto, vestendo la maglia rosa per un totale di 11 giornate. Durante la guerra, come anche Bartali e altri ciclisti, ha collaborato con la Resistenza, mentre nel 1948 ha recitato se stesso nel film “Totò al Giro d’Italia” insieme ai campioni dell’epoca. Nel 1952 si è ritirato dalle competizioni a causa di gravi problemi fisici alla gamba rimanendo però vicino al mondo del ciclismo e impegnandosi, insieme agli amici Magni e Cinelli nella difesa dei diritti sindacali dei corridori fondando l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, della quale Ortelli è stato vice-direttore per oltre vent’anni.
Il ritorno in officina.
Intorno alla metà degli anni ’50, con un recente passato da grande campione alle spalle, Vito torna a Faenza per lavorare con il padre nell’officina che nel frattempo era stata ricostruita dalla distruzione dei bombardamenti grazie ai soldi guadagnati con le sue vittorie sportive. Sono tanti i corridori famosi che hanno fondato un marchio di biciclette a proprio nome, più rari i campioni come Ortelli che le hanno anche costruite con le proprie mani, i più abili si costruivano da soli anche gli attrezzi dell’officina, come il piano di riscontro che Vito Ortelli ricavò dallo sportello di un autoblindo tedesco della seconda guerra mondiale abbandonato vicino a casa.
Vito Ortelli: “L’officina si trovava lungo le mura di Faenza mentre il negozio all’angolo del Ponte alle Grazie fino a quando fu bombardato e lo dovemmo trasferire poco più avanti. Le bicicletta venivano assemblate utilizzando una fucina a carbone per scaldare i tubi d’acciaio e poi effettuare la saldatura. Allora tra artigiani c’era stima e rispetto, mio padre e Guerra di Lugo erano i più abili e si fabbricavano da sé i pezzi mentre gli altri erano ancora arretrati e compravano tutto già montato. Come tubi usavamo gli italiani Columbus e in parte minore anche i Reynolds, che arrivavano da Coventry in Inghilterra tramite la Legnano, e i Falk.
O: Le pipe più particolari le facevamo fare ad un bravissimo artigiano di Bologna che riusciva a costruire stampi personalizzati su nostro disegno, così potevamo creare le congiunzioni come volevamo, altre congiunzioni e le pipe le compravamo dall’amico Cino Cinelli, correvamo insieme alla Bianchi da Ragazzi ed eravamo molto amici, a me e a pochi altri (Marastoni) permetteva di usare i componenti speciali in ghisa malleabile che erano più resistenti, bisognava saperle lavorare in quanto la ghisa a differenza della lamiera quando viene scaldata troppo rischia di spezzarsi facilmente durante la lavorazione ma era un ottimo materiale, questi pezzi venivano prodotti in Svizzera (Georg Fischer).
O: Le Congiunzioni che oggi non vengono più utilizzate erano a mio parere anche un bell’ornamento del mezzo, anche se non lasciavano vedere se effettivamente la saldatura era fatta a regola d’arte oppure no, i bravi artigiani prima di saldare i tubi dentro le pipe ne smussavano le estremità in modo che che appoggiassero tra loro dentro la congiunzione per far si che il triangolo principale da cui era costruito il telaio fosse effettivamente un tutt’uno, altri per impiegare meno tempo smussavano la tubatura con un taglio netto e la incastonavano senza far coincidere i tubi ottenendo all’insaputa del cliente un prodotto di qualità inferiore.
Per la cromatura si immergeva prima il telaio nel rame per una maggiore protezione, il rame è infatti il materiale che entra meglio nei pori del metallo e veniva utilizzato per primo, poi lo si immergeva nel Nichel per un ulteriore protezione al deterioramento fino a che non prendeva un colore bianco intenso e infine il bagno nel cromo che dava un bel colore alla bicicletta. Dopo la guerra molti hanno cominciato a fare un unico bagno al cromo lucido, procedimento sicuramente inferiore al vecchio ma meno costoso. La verniciatura si svolgeva in tre fasi: prima si apportava del Minio che è Ossido di Piombo per preparre il telaio al primo strato di vernice al quale, con una tela fine, si applicava il secondo strato, in genere un colore nero perché più resistente alle alte temperature.
All’inizio facevo verniciare e cromare da Cicognani e Cimatti di Faenza, poi quando loro si dedicarono ad altri settori andai da Leoni. Era un grande artista, faceva filettature e disegni a mano libera direttamente sui telai dopo averli verniciati, erano delle opere d’arte. Un altro grande artista era Gino Cornazzani di Castelbolognese, faceva delle incisioni splendide e spesso mi servivo di lui per abbellire i telai, sempre per ragioni estetiche sono stato il primo in Italia ad imprimere sul tubo il mio nome in rilievo.
un ringraziamento particolare a Frameteller
collezione privata
Telaio in tubi columbus super leggeri, lavorato con estrema precisione ed eleganza, pantografie tipiche di Ortelli su tubo orizzontale forcellini e testa forcella.
Diversi i dettagli di pregio: la forma conica del ponte per il freno posteriore, il particolare passacavo sul carro posteriore e gli alloggi per le viti del porta borraccia.
Gruppo Campagnolo Super Record prima generazione del 1976
manubrio e pipa cinelli pantografati con nastro Almarc in pelle originale
Serie sterzo FT Bologna in lega leggera pantografata
Sella concor in pelle
conservata
Mi chiamo Vito in onore di un grande amico di mio padre.quel Vito Casadio suo compagno di balli, anch’egli Reda ,vicino a Faenza , e morto in battaglia durante la guerra 15\18.Fu un gesto di riconoscenza che mio padre volle esprimere verso questo suo amico, che un giorno fu vittima, proprio per mano sua, di uno spiacevole incidente. Nel periodo cui lavorava all’officina Marabini, mio padre gli capitava di riparare armi e riusci perfino a fabbricare una rivoltella, che poi vendette a un contadino di Albereto.Quando però questi si ripresentò qualche tempo dopo lamentandone il mancato funzionamento ,per costatare se l’arma fosse inceppata, senza verificare che non ci fossero colpi in canna tirò soprappensiero il grilletto mentre l’arma era puntata verso il povero Vito Casadio, che era passato a salutarlo in officina. Vito!!!! ti ho preso ? chiese mio padre terrorizzato….. il Casadio rispose no, forse per la tensione, istantaneamente non dovette neppure avvedersi della ferita, ma era stato colpito, seppur di striscio, e la sua camicia bianca prese a tingersi di rosso. per fortuna nulla di grave, e siccome presentandosi in ospedale sarebbe stato obbligato a denunciare il fatto. Questo Vito Casadio acconsentì a farsi medicare dalla levatrice, che con una piccola incisione gli estrasse il proiettile.Il suo comportamento consolidò ulteriormente l’amicizia che già li univa e mio padre ritenne in seguito di essergli riconoscente dandomi il suo nome