una volta le bici te le regalavano, ora costano una fortuna
persa questa bellissima pogliaghi
il modo migliore per ricordarla è d’inserirla nel blog
Continua a leggere “bici corsa ” pogliaghi ” 1973 col gruppo campagnolo record”
"Il paradiso in terra non esiste, ma chi va in bicicletta ci arriverà comunque." – Parrini
una volta le bici te le regalavano, ora costano una fortuna
persa questa bellissima pogliaghi
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una vita sulle strade bianche
Legnano 1975
collezione privata
dopo tante fatiche , il meritato riposo
conservata
le do una mano a caricare la bici ?
no ,grazie
ci mette molto ad arrivare a casa ?
un’oretta
di dove siete ?
sono di ……..
ho mia nipote che vive li, forse la conosce ?
improbabile ,la mia città è grande
si ma vive dove c’è la pineta ,c’è una pizzeria
conosco la zona perchè ci abito
si è la casa color …..
ma scusi ,come si chiama sua nipote ?
si chiama ……..
è la mia vicina di casa !!!
campagnolo super record
forcella pendente caratteristica dell’anno 1983
è la stessa del mexico
columbus
telaio artigianale saldato appositamente per il gruppo CAMPAGNOLO CINQUANTENARIO N. 107
ACCIAIO COLUMBUS SLX con foderi e forcella OVAL
i cavi del cambio sono nascosti all’interno del tubo diagonale
cerchi FIAMME NERVAL per tubolari
PHOTO by GIANNI MAZZOTTA
Continua a leggere “bici corsa PATELLI SUPER CORSA 1983 con gruppo CAMPAGNOLO 50 TH n 107”
Bici corsa
La storia della Legnano
La storia dei grandi marchi di biciclette italiane comincia dalla L di Legnano.
Nessun marchio ciclistico come la Legnano può vantare un numero simile di successi in campo sportivo, grazie a campioni come Binda, Guerra, Bartali, Coppi e Baldini.
Quello della Legnano è uno dei marchi ciclistici più antichi e conosciuti del mondo. Fin dal 1902 il nome Legnano ha significato qualità, affidabilità e stile nella produzione di biciclette. La grande tradizione Legnano si è formata sulle strade delle gare più importanti, come il Tour de France, il Giro d’Italia e le tante classiche vinte.
E’ il 1902 quando l’officina di Vittorio Rossi inizia la sua attività di produzione biciclette. Sui telai in acciaio delle sue biciclette compare la scritta “Lignon”. Il marchio si dimostra da subito vincente: da lì a poco arriva infatti la prima vittoria in una gara ciclistica, la “Coppa Val di Taro”.
Il nome Legnano entra nel mondo di tutti i giorni nel 1908, quando un certo Emilio Bozzi fonda la sua compagnia “Emilio Bozzi & C”. con sede a Milano, in Corso Genova 9. La sua intenzione è di produrre biciclette complete, seguendo quello che solo gli inglesi avevano già iniziato a fare in quel periodo. Bozzi aveva nel frattempo acquisito i marchi Perla e Frejus.
Il primo modello prodotto si chiama Aurora. In seguito Emilio Bozzi si mette in società con Franco Tosi, un uomo d’affari di Legnano che stava cercando nuove opportunità di affari nel settore della produzione di biciclette. Lo stesso Tosi aveva già acquisito alcuni brevetti da una nuova compagnia inglese, la Wolsit. L’azienda, non ancora specializzata nella costruzione di biciclette, produsse il “Ciclomotore Wolsit”, fabbricato tra il 1910 e il 1914, di cui in seguito vendette il brevetto alla tedesca N.S.U.
La svolta avviene nel 1924, quando il fascismo inizia ad interessarsi al mondo dei campioni dello sport ciclistico. L’ordine tassativo è che tutti i ciclisti italiani dovranno correre solo su biciclette italiane. E’ in questo momento che arriva la prima grande intuizione di Bozzi: offrire un contratto a vita ad un giovane imbianchino che trasferitosi in Francia con la famiglia, già si era distinto in 38 diverse gare ciclistiche: nasce così il mito di Alfredo Binda.
Nel frattempo il nome dell’azienda cambia e si trasforma in Legnano. Il simbolo che la rappresenta è quello di Alberto da Giussano, il condottiero che riuscì a sconfiggere Federico Barbarossa. Si dice che sia stato lo stesso Binda a disegnare il primo bozzetto del marchio Legnano. Le biciclette Legnano passano da un iniziale colore blu al verde oliva, prima di approdare dalla fine degli anni ‘30 al caratteristico color “ramarro”. I telai Legnano presentano una caratteristica che li rende subito riconoscibili: il bullone ferma sella è posizionato nella parte anteriore del piantone verticale.
Binda si dimostra un vero investimento per la Legnano: con la casacca verderossa vince 5 edizioni del Giro d’Italia, nel 1925, 1927, 1928, 1929 e 1933. Nel 1930 l’organizzazione del Giro lo pagò 22.500 lire perché non partecipasse. Il marchio Legnano diventa così famoso in tutto il mondo. Mentre la fabbrica produce eccellenti biciclette, il settore sportivo viene affidato ad Eberardo Pavesi detto “l’avucatt”.
Con lui alla guida la Legnano raggiunge l’apice del ciclismo mondiale: 6 titoli mondiali conquistati (solo Binda ne vince 3) 15 edizioni del Giro d’Italia, 2 Tour de France e dozzine di altre classiche vinte.
Il mito di Binda tramonta nel 1930 a causa di una brutta caduta. In quel periodo inizia a farsi sentire la rivalità con la Bianchi. Pavesi però ha un altro asso nella manica: il suo nome è Gino Bartali, che approda in Legnano nel 1936 a soli 22 anni, dopo una stagione passata alla Frejus. Bartali ringrazia della fiducia vincendo nello stesso anno il Giro d’Italia e due anni più tardi regala alla Legnano il suo primo successo al Tour de France. Il colore giallo che sostituisce per il Tour il tradizionale verde Legnano porta bene alla casa milanese.
Con Bartali riparte una nuova stagione di successi per la marca del guerriero, che arriva al suo apice nel 1939 quando Pavesi affianca all’esperto Bartali un giovane “tutto pelle e ossa”, chiamato Fausto Coppi.
Senza saperlo, Pavesi aveva dato il via alla sfida ciclistica che da lì a poco avrebbe diviso l’Italia in due. Fino al 1942 Gino e Fausto corrono fianco a fianco nella Legnano macinando successi contro tutti i loro avversari. A dividerli ora non è la loro rivalità, ma la seconda Guerra Mondiale che li farà reincontrare solo 5 anni dopo e da avversari. Prima della pausa forzata a causa del conflitto militare Fausto regala un’ultima fiammata ai tifosi Legnano: è il record dell’ora che conquista al Vigorelli di Milano sotto i bombardamenti nemici.
Nell’immediato dopoguerra l’Italia ha bisogno di eroi a cui attaccarsi. Li trova nel mondo del ciclismo: i loro nomi sono Gino e Fausto, che per la gioia di tutti tornano a correre sebbene per squadre separate. Coppi ha appena siglato un contratto con la Bianchi. Ma Bartali non intende lasciargli spazio e mostra il suo carattere con la vittoria al Tour de France del 1948. Nel 1949 Gino lascia la Legnano, che stenta a trovare un sostituto alla sua altezza. L’astinenza dal podio dura fino al 1956. Alle Olimpiadi di Melbourne il giovane forlivese Ercole Baldini vince la gara di corsa su strada e riporta il marchio di Emilio Bozzi sui gradini più alti del mondo. Da lì a poco Baldini regalerà un’altra serie di successi alla Legnano: su una bicicletta leggerissima per l’epoca batte il record dell’ora di Coppi, mentre nel 1958 si aggiudica il Campionato del Mondo.
La Legnano stenta a trovare campioni alla portata della sua storia e inizia un lento ma inesorabile declino, che culmina con l’assassinio di Emilio Bozzi negli anni ’70 ad opera di un gruppo terroristico. Dopo la sua scomparsa, la famiglia non intende rilevare l’azienda, che dopo un periodo di vicissitudini nel 1987 viene ceduta alla Bianchi, rivale di sempre.
Oggi entrambi i marchi sono stati acquisiti dalla multinazionale Cycleurope, che ha deciso di mantenere alta la tradizione del marchio Bianchi, a discapito della Legnano, relegata a produzioni economiche di basso livello.
a.v.e.r.
Mi chiamo Vito in onore di un grande amico di mio padre.quel Vito Casadio suo compagno di balli, anch’egli Reda ,vicino a Faenza , e morto in battaglia durante la guerra 15\18.Fu un gesto di riconoscenza che mio padre volle esprimere verso questo suo amico, che un giorno fu vittima, proprio per mano sua, di uno spiacevole incidente. Nel periodo cui lavorava all’officina Marabini, mio padre gli capitava di riparare armi e riusci perfino a fabbricare una rivoltella, che poi vendette a un contadino di Albereto.Quando però questi si ripresentò qualche tempo dopo lamentandone il mancato funzionamento ,per costatare se l’arma fosse inceppata, senza verificare che non ci fossero colpi in canna tirò soprappensiero il grilletto mentre l’arma era puntata verso il povero Vito Casadio, che era passato a salutarlo in officina. Vito!!!! ti ho preso ? chiese mio padre terrorizzato….. il Casadio rispose no, forse per la tensione, istantaneamente non dovette neppure avvedersi della ferita, ma era stato colpito, seppur di striscio, e la sua camicia bianca prese a tingersi di rosso. per fortuna nulla di grave, e siccome presentandosi in ospedale sarebbe stato obbligato a denunciare il fatto. Questo Vito Casadio acconsentì a farsi medicare dalla levatrice, che con una piccola incisione gli estrasse il proiettile.Il suo comportamento consolidò ulteriormente l’amicizia che già li univa e mio padre ritenne in seguito di essergli riconoscente dandomi il suo nome