T’ Ortelli
binomio perfetto
Continua a leggere “Ortelli corsa 1971”"Il paradiso in terra non esiste, ma chi va in bicicletta ci arriverà comunque." – Parrini
La bici col cuore
Modello non riscontrabile nei cataloghi dell’epoca
lo stemma dello scudo la troviamo dal 1967 al 1971/ cit classic de rosa
Francesco ed Emiliano Freschi, esperienza, creatività e coraggio.
Francesco Freschi, nacque nel 1929 a Milano, primo di quattro fratelli. La passione per il ciclo gliela trasmise il nonno che da giovane era proprietario di una bottega di biciclette. A sua volta Francesco contagiò il figlio Emiliano con il quale aprì l’azienda dal 1976 al 1989, anno di chiusura dell’attività e cessione del marchio.
La gavetta di Francesco cominciò già da bambino nelle officine e nelle botteghe di biciclette milanesi, il padre viveva in Germania e con la guerra di mezzo, come tanti fu costretto a cambiare molti lavori. Negli anni ’60 Francesco conobbe Sante Pogliaghi con il quale si instaurò un rapporto di reciproca stima e amicizia, negli anni per Francesco diventò come un figlio per Sante il quale nel 1972 lo volle con sé in officina.
A quel tempo la firma Pogliaghi era già molto conosciuta e l’officina affollata di operai e apprendisti italiani e stranieri, in molti casi arrivati anche dal Giappone per imparare il mestiere.
Il reparto saldatura era territorio esclusivo di Sante, Francesco all’inizio si occupava un po’ di tutto il resto e in particolare dell’assemblaggio ma la sua esuberante creatività impiegò poco ad emergere e nel giro di pochi anni, seppure in officina da Pogliaghi non si usassero titoli ufficiali, assunse un ruolo che potremmo definire oggi di consulente per lo sviluppo tecnico, un’esempio noto delle sue idee è il particolare nodo sella che caratterizzò i telai Pogliaghi a metà anni ’70.
Licinio Marastoni, un mito per gli appassionati delle due ruote universalmente apprezzato per le doti di costruttore fortemente innovativo. I suoi telai color ramarro, diventato il “verde Marastoni”, lo hanno reso immortale agli occhi dei fans.
Se tutti suonassero l’ukulele, il mondo sarebbe un posto migliore
dopo i mondiali spagnoli la bianchi presenta la specialissima
sono salito verso il colle di Tenda con la mia Frejus .
Vengo a conoscenza attraverso un giornale locale di una guida del 1866 di John Ball
” The Western Alps ” beh , mi sembra che non ci siamo allontanati di molto da quel periodo
guarnitura corsa alleggerita
leve freno corsa in alluminio a fascetta fine anni 30 inizio anni 40
guarnitura Campagnolo prima serie
cambio Campagnolo record prima serie
mozzi ferro e alluminio flangia larga Campagnolo
pipa Cinelli
manubrio Ambrosio champion
Vito Ortelli
Nasce a Faenza nel 1921 in un incubatoio dell’azienda Marabini dove lavorava il padre. A soli 6 anni Vito è stato probabilmente il più giovane ciclista dei suoi tempi, nel 1927 infatti le bici per i bambini non erano ancora state ancora immaginate ma il padre, riducendo i cerchi e adattando gomme e camere d’aria, riuscì a costruirgli una piccola bici, lasciandola però volutamente senza freni per costringerlo a non andare troppo forte, a giudicare da come andarono poi le cose, uno stratagemma decisamente poco riuscito. Dalle prime scorribande con quella piccola bici tagliò nell’arco della sua carriera molti traguardi diventando uno dei più importanti campioni nella storia del ciclismo, l’unico nell’immediato dopo guerra in grado di competere allo stesso livello con Coppi e Bartali.
Nel 1938 lascia l’officina dove lavorava con il padre e dove già a 15 anni saldava i telai, per intraprende la carriera di corridore durante la quale è stato in totale quattro volte campione italiano: due su strada, da allievo e professionista e due su pista, battendo entrambe le volte Fausto Coppi. Al Giro d’Italia ha ottenuto un terzo e un quarto posto, vestendo la maglia rosa per un totale di 11 giornate. Durante la guerra, come anche Bartali e altri ciclisti, ha collaborato con la Resistenza, mentre nel 1948 ha recitato se stesso nel film “Totò al Giro d’Italia” insieme ai campioni dell’epoca. Nel 1952 si è ritirato dalle competizioni a causa di gravi problemi fisici alla gamba rimanendo però vicino al mondo del ciclismo e impegnandosi, insieme agli amici Magni e Cinelli nella difesa dei diritti sindacali dei corridori fondando l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, della quale Ortelli è stato vice-direttore per oltre vent’anni.
Il ritorno in officina.
Intorno alla metà degli anni ’50, con un recente passato da grande campione alle spalle, Vito torna a Faenza per lavorare con il padre nell’officina che nel frattempo era stata ricostruita dalla distruzione dei bombardamenti grazie ai soldi guadagnati con le sue vittorie sportive. Sono tanti i corridori famosi che hanno fondato un marchio di biciclette a proprio nome, più rari i campioni come Ortelli che le hanno anche costruite con le proprie mani, i più abili si costruivano da soli anche gli attrezzi dell’officina, come il piano di riscontro che Vito Ortelli ricavò dallo sportello di un autoblindo tedesco della seconda guerra mondiale abbandonato vicino a casa.
Vito Ortelli: “L’officina si trovava lungo le mura di Faenza mentre il negozio all’angolo del Ponte alle Grazie fino a quando fu bombardato e lo dovemmo trasferire poco più avanti. Le bicicletta venivano assemblate utilizzando una fucina a carbone per scaldare i tubi d’acciaio e poi effettuare la saldatura. Allora tra artigiani c’era stima e rispetto, mio padre e Guerra di Lugo erano i più abili e si fabbricavano da sé i pezzi mentre gli altri erano ancora arretrati e compravano tutto già montato. Come tubi usavamo gli italiani Columbus e in parte minore anche i Reynolds, che arrivavano da Coventry in Inghilterra tramite la Legnano, e i Falk.
O: Le pipe più particolari le facevamo fare ad un bravissimo artigiano di Bologna che riusciva a costruire stampi personalizzati su nostro disegno, così potevamo creare le congiunzioni come volevamo, altre congiunzioni e le pipe le compravamo dall’amico Cino Cinelli, correvamo insieme alla Bianchi da Ragazzi ed eravamo molto amici, a me e a pochi altri (Marastoni) permetteva di usare i componenti speciali in ghisa malleabile che erano più resistenti, bisognava saperle lavorare in quanto la ghisa a differenza della lamiera quando viene scaldata troppo rischia di spezzarsi facilmente durante la lavorazione ma era un ottimo materiale, questi pezzi venivano prodotti in Svizzera (Georg Fischer).
O: Le Congiunzioni che oggi non vengono più utilizzate erano a mio parere anche un bell’ornamento del mezzo, anche se non lasciavano vedere se effettivamente la saldatura era fatta a regola d’arte oppure no, i bravi artigiani prima di saldare i tubi dentro le pipe ne smussavano le estremità in modo che che appoggiassero tra loro dentro la congiunzione per far si che il triangolo principale da cui era costruito il telaio fosse effettivamente un tutt’uno, altri per impiegare meno tempo smussavano la tubatura con un taglio netto e la incastonavano senza far coincidere i tubi ottenendo all’insaputa del cliente un prodotto di qualità inferiore.
Per la cromatura si immergeva prima il telaio nel rame per una maggiore protezione, il rame è infatti il materiale che entra meglio nei pori del metallo e veniva utilizzato per primo, poi lo si immergeva nel Nichel per un ulteriore protezione al deterioramento fino a che non prendeva un colore bianco intenso e infine il bagno nel cromo che dava un bel colore alla bicicletta. Dopo la guerra molti hanno cominciato a fare un unico bagno al cromo lucido, procedimento sicuramente inferiore al vecchio ma meno costoso. La verniciatura si svolgeva in tre fasi: prima si apportava del Minio che è Ossido di Piombo per preparre il telaio al primo strato di vernice al quale, con una tela fine, si applicava il secondo strato, in genere un colore nero perché più resistente alle alte temperature.
All’inizio facevo verniciare e cromare da Cicognani e Cimatti di Faenza, poi quando loro si dedicarono ad altri settori andai da Leoni. Era un grande artista, faceva filettature e disegni a mano libera direttamente sui telai dopo averli verniciati, erano delle opere d’arte. Un altro grande artista era Gino Cornazzani di Castelbolognese, faceva delle incisioni splendide e spesso mi servivo di lui per abbellire i telai, sempre per ragioni estetiche sono stato il primo in Italia ad imprimere sul tubo il mio nome in rilievo.
un ringraziamento particolare a Frameteller
collezione privata
probabilmente riverniciata all’inizio degli anni sessanta
e tenuta a riposo nel salone della villa di proprietà
cambio Campagnolo Parigi Roubeaux
i rarissimi Universal 5501
pipa Cinelli in ferro
mozzi Bianchi