Mario Confente: un nome sconosciuto ai più, che cela però un talento, un genio della meccanica, ma allo stesso tempo una persona umile, laboriosa e dal grande cuore che merita di essere ricordata e valorizzata.
La sua “storia d’amore” con la bicicletta iniziata quando aveva tredici anni l’ha portato prima a gareggiare e successivamente a produrre cicli di altissima qualità tanto da essere definito dall’amico e collaboratore Jim Cunningham lo “Stradivari” delle biciclette.
Mario Confente nacque a Montorio Veronese il 29 gennaio 1945 da una modesta famiglia. Terzo di cinque figli, ed unico maschio, non ebbe un’infanzia facile; iniziò a lavorare giovanissimo come apprendista nel locale negozio di ferramenta del signor Carli sito al civico 26 di via Olivé, ma la sua attitudine e passione per la meccanica furono ben presto notate da Antonio Tiberghien il quale, avendo conosciuto Mario grazie al rapporto di amicizia che lo legava ai suoi figli, gli offrì un posto come riparatore di telai nel grande lanificio di sua proprietà. Qualche tempo prima egli si iscrisse alla scuola professionale “L. Da Vinci” dove ebbe modo di ampliare le sue conoscenze in materia di meccanica.
Come molti suoi coetanei, Mario era affascinato dalla bicicletta da corsa. Aveva solo tredici anni quando entrò a far parte della “S.S. Aquilotti Veronesi” e un paio d’anni più tardi vinse il campionato provinciale juniores con la maglia del CS Gaiga Verona. Viste le sue doti di bravo passista, a diciotto anni fu chiamato a far parte del G.S. Bencini, la miglior squadra della categoria “dilettanti” dell’epoca che, sotto la guida del direttore sportivo Guido Zamperioli, ottenne grandi risultati nel periodo 1963-66:
- 1963: Flaviano Vicentini vince il Campionato del Mondo “dilettanti”;
- 1964: Pietro Guerra e Severino Andreoli vincono la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Tokyo nella specialità 100 km su pista a squadre;
- 1965: l’Italia vince la medaglia d’oro al Campionato del Mondo nei 100 km su pista a squadre: Pietro Guerra e Severino Andreoli fanno parte del quartetto;
- 1966: l’Italia vince la medaglia di bronzo al Campionato del Mondo nei 100 km su pista a squadre: Pietro Guerra fa parte del quartetto.
L’impegno con il G.S. Bencini lo portò a lasciare il lavoro per dedicarsi al ciclismo a tempo pieno. Iniziò quindi a gareggiare in giro per l’Italia, ma anche all’estero: vengono particolarmente ricordate le trasferte della sua squadra a Milano, Torino e in Svizzera.
Fu in questo periodo che, per arrotondare lo stipendio, iniziò a costruire telai facendo esperienza presso il laboratorio “Grandis” di Verona. Come semi-professionista ottenne buoni piazzamenti in molte gare vincendone qualcuna. I compagni di squadra lo ricordano così:
“Mario era un forte corridore, non troppo forte per vincere, ma abbastanza per arrivare sempre tra i primi. Si è sempre sacrificato molto per la squadra durante i distacchi o per ostacolare gli avversari quando un compagno andava in volata” (Severino Andreoli).
“Incontrai Mario quando avevo 17 anni e lui 16. Eravamo in una palestra e diventammo subito amici sebbene corressimo in squadre diverse. Aveva un buon carattere ed andava d’accordo con tutti anche durante le gare. Era generoso e molto stimato per la sua passione per il ciclismo. Si distingueva dagli altri per l’attenzione, la manutenzione e la cura che aveva per la sua bicicletta. Era lui che mi aggiustava la bici e mi insegnò anche a raccogliere i funghi!” (Renzo Ferrari).
“Mario non vinse molte gare, ma era forte, generoso e sempre pronto ad aiutare chiunque” (Pietro Guerra).
Quando il G.S. Bencini si sciolse Mario entrò a far parte dell’U.C. Veronese CSI nella quale militò fino all’autunno del 1968 quando, durante una gara in un velodromo, subì un grave infortunio in seguito ad un incidente e fu costretto a lasciare l’attività agonistica.
Frastornato e deluso per il fatto di dover rinunciare alla passione della sua vita, si gettò anima e corpo nella costruzione di telai in un piccolo laboratorio sistematogli dal padre in un angusto locale a fianco della cucina di casa. A quel tempo la famiglia Confente risiedeva a “Casa Vaona”, una seicentesca casa padronale situata all’ingresso di Montorio in Via Olmo 73, demolita (sic!) all’inizio degli anni ’70 per fare posto ad un moderno complesso di case con un piccolo supermercato (trasformato poi in pizzeria).
Dal 1968 al 1970 costruì telai commissionatigli anche dalla famosa ditta Bianchi; il lavoro in continuo aumento, lo costrinse a trasferirsi in una nuova officina un po’ più grande e ad assumere apprendisti per far fronte alle crescenti richieste. Fu così che i Confente lasciarono Casa Vaona e si trasferirono in via Olivé all’altezza dell’odierno civico 17: il garage a pian terreno, benché modesto, venne trasformato in officina meccanica, mentre il piccolo appartamento al piano superiore divenne la dimora di Mario e dei suoi genitori. Poco tempo dopo i vecchi compagni Pietro Guerra e Flaviano Vicentini (che correvano con biciclette costruite da Mario) presentarono Mario a Faliero Masi, della ditta Cicli Masi di Milano, il quale restò molto ben impressionato dopo aver analizzato personalmente i telai dei due campioni. Faliero Masi quindi si recò a Montorio, accompagnato dal famoso telecronista Adriano De Zan, per parlare d’affari con Mario. Masi, vista la lenta crescita del mercato in Italia, aveva in progetto di aprire una sede negli Stati Uniti dove, a causa di una grave crisi energetica, il mercato delle biciclette stava vivendo un momento di gloria. Faliero Masi vendette i diritti del suo marchio a Roland Sahm, ricco uomo d’affari di San Diego, il quale aveva contattato precedentemente alcune ditte italiane per la produzione di biciclette su loro licenza. In base a questo accordo le biciclette Masi sarebbero state quindi prodotte negli Stati Uniti. A Mario fu offerto il posto di responsabile di produzione del nuovo stabilimento di Carlsbad vicino a Los Angeles, dove egli arrivò nell’ottobre del 1973. Nello stabilimento Masi d’Oltreoceano Mario Confente supervisionò la produzione di circa 2200 biciclette nell’arco di tre anni.
La vedova di Mario, allora fidanzata, Lisa ricorda: “Mario aveva molto rispetto per i ragazzi messicani che lo aiutavano. Pranzava spesso assieme a loro e divenne ghiotto di tortillas. Questi uomini venivano dal Messico per lavorare ed inviare alle loro famiglie ogni centesimo che guadagnavano. Questa era la gente che Mario ammirava”. Essa ricorda poi il viaggio in Italia (aprile 1976), l’incontro con Tullio Campagnolo, ma soprattutto quello con il campione Eddy Merckx: “Stava facendosi massaggiare prima della gara Milano-San Remo quando gli disse ‘Ehi Mario, mi piacciono le tue biciclette… vorrei un’altra bici fatta da te’. Mario replicò che avrebbe costruito molte biciclette per lui, ma avrebbe voluto firmarne i telai con il suo nome”. Lisa ricorda ancora: “Negli Stati Uniti una delle cose più indigeste a Mario era la scarsa padronanza della lingua. In Italia egli era come un’altra persona: era così forte laggiù…”.
Nel 1976 Bill Recht, uomo d’affari del New Jersey, entrò in contatto con Sahm offrendogli di rilevare il business legato alla produzione di biciclette. I due non giunsero ad un accordo, ma Recht riuscì a strappare Mario alla Masi California aprendogli un laboratorio a Los Angeles sulla cui facciata campeggiava l’insegna “Custom Bicycles by Confente”. Mario ebbe così l’occasione di coronare il suo sogno: da quel momento i suoi telai avrebbero riportato il marchio “Confente USA” assieme alla sua firma. Una delle prime cose che fece fu di contattare Jerry Ash, grande sprinter più volte campione nazionale statunitense nel chilometro da fermo, offrendosi di costruire un telaio su misura per lui. Il risultato fu che Ash nel triennio 1976/78 corse con un telaio Confente nel Campionato del Mondo arrivando settimo nel 1977, risultato mai raggiunto da un corridore americano in oltre un decennio! Nel frattempo altri top riders ebbero modo di provare i telai Confente e si recarono personalmente a Los Angeles per farseli costruire su misura. In breve tempo i telai di Mario diventarono un punto di riferimento, un nuovo standard costruttivo.
Lisa ricorda: “Mario si è gettato anima e corpo in questa avventura. Ha lavorato come un demonio. Avrei fatto qualsiasi cosa per strapparlo dalla sua officina di Los Angeles, ma lui non usciva prima di aver finito e ripulito perfettamente il suo laboratorio. Lo avrei aiutato a pulire il pavimento pur di tirarlo fuori di lì”.
Tom Kellog della Spectrum Cycles ha dichiarato: “Mario ha fatto cose belle ed ha spinto i costruttori americani a vedere oltre quelle linee piane e semplici costringendoli a cambiare il loro modo di lavorare; i suoi telai sono stati i primi a rappresentare una fusione fra la qualità americana e lo stile italiano”.
Ben Serotta aggiunse: “Dopo aver visto la bici Confente al ‘New York Bicycle Show’ ci siamo resi conto che Mario aveva elevato gli standard”.
In un’intervista ad un giornale Mario affermò: “Un telaio deve uscire perfetto sotto ogni punto di vista. Non si può sbagliare nemmeno di mezzo centimetro. I corridori se ne accorgerebbero subito e ne andrebbe della mia serietà. Quindi massima perfezione. I telai devono essere precisi. Debbono corrispondere alle misure della lunghezza delle gambe, del corpo e delle braccia. Non devono superare il chilogrammo e mezzo. I miei sono esattamente kg 1,490”. Il segreto della sua tecnica di saldatura stava nel lavorare ad una temperatura appena inferiore al punto di fusione dell’acciaio in maniera da non danneggiare, distorcere o cristallizzare il tubo evitando così di esporre la sua struttura molecolare ad un eccessivo calore che avrebbe indebolito il metallo. Per assemblare le sue bici usava soltanto i migliori componenti: equipaggiamento completo Campagnolo, manubri e selle Cinelli, tubolari Clement, trasmissioni e catene Regina, tubi d’acciaio Reynolds e Columbus.
Come ogni cosa bella e ben costruita viene venduta ad alto prezzo, anche i telai di Mario erano parecchio costosi, tanto che Bill Recht decise di trarre maggiori profitti sfruttando il marchio Confente. Egli, all’insaputa di Mario, preparò il lancio di un nuovo telaio meno costoso ma prodotto in un numero elevato di esemplari firmato Confente: il “Medici”, che sarebbe stato presentato al successivo New York Bicycle Show. Poco prima dell’apertura dello show Mario si rese conto che il Medici era un prodotto scadente e si precipitò immediatamente da Recht per consegnargli la lettera di dimissioni; in conseguenza di ciò egli fu chiuso fuori dalla sua fabbrica e privato delle sue attrezzature.
Decise quindi di trasferirsi più a nord verso l’unico posto dove sapeva che avrebbe potuto continuare a costruire i suoi telai: Monterey. Tempo addietro vi si recò per incontrarsi con l’astro nascente del ciclismo americano Jonathan Boyer e un suo sponsor, George Farrier. Ora ci andava semplicemente per cercare un posto dove poter lavorare. Fu così che Farrier lo ospitò nell’officina meccanica situata nel proprio garage che destò molta impressione in Mario per le sue grandi dimensioni. Lì Mario e il suo fedele amico e collaboratore Jim Cunningham (conosciuto alla Masi verso la fine del 1975) posero le basi per la loro impresa. Il 12 febbraio 1979 Mario sposò Lisa, sua compagna da lungo tempo, e si stabilì a Encinitas, una città costiera situata a nord di San Diego; contemporaneamente rinnovò il garage e vi aprì il suo nuovo negozio.
La mattina dell’8 marzo 1979 egli si alzò di buonora; aveva deciso di tornare da Masi a lavorare per un breve periodo di tempo allo scopo di mettere insieme qualche soldo. Doveva incontrarsi con il caposquadra della Masi, ma appena uscito di casa fu colto da un infarto e si accasciò a terra. Mario aveva 34 anni ed era sposato da neanche un mese; il suo talento e la sua passione, dopo anni di amarezze e delusioni, gli stavano aprendo una luminosa carriera. Ma, come qualcuno ama dire, il suo compito su questa terra era probabilmente terminato.
Mario Confente ci ha lasciato una preziosa eredità che comprende 135 biciclette (124 da strada e 11 da pista) che portano il suo marchio; sono apprezzate per le loro eccezionali qualità tecniche ed estetiche che esercitarono una forte influenza e una spinta innovatrice sul mercato. Sono considerate autentici capolavori e sono diventate oggetti di culto per i collezionisti.
* * *
Lo spunto per la stesura di questo piccolo pezzo di storia mi è stato fornito da un signore di Montorio che, volendo mantenere l’anonimato, si definisce simpaticamente “mato par la bici”.
Il presente scritto vuole intendersi come una libera traduzione, con aggiunte e sistemazioni derivanti dall’analisi di materiale inedito, della biografia scritta da Russell W. Howe nel 1998.
Ringrazio pubblicamente Gianna Confente (sorella di Mario) per avermi concesso una piccola intervista nella quale sono emersi nuovi particolari della vita di Mario Confente e foto inedite assieme a vari articoli di giornale. Dopo aver letto in anteprima questa biografia, Gianna ha mandato la seguente e-mail alla redazione:
Caro Gabriele, ti ringrazio per tutto il lavoro non mi aspettavo tutto questo.
Puoi proseguire per la pubblicazione perchè questa è la storia di Mario Confente. Lui ha molto amato la bicy ed ha trasmesso tutto questo amore nel suo lavoro.
In America è stato molto apprezzato non solo come costruttore di bicy ma anche come persona.
Le sue bicy dovevano essere perfette anche nei piccoli particolari, per questo non accettò che qualcuno sfruttasse il suo nome per una bicy mediocre.
Lui ha lavorato molto e posso dire che ha dedicato la vita per la sua bicy Confente.
Tanti saluti M. Gianna Confente. di Gabriele Alloro montorloveronese.it
la storia della bici
La storia di questa bicicletta è un po’ travagliata. L’ho trovata al mercato di Imola se ricordo bene nel 2016, e il telaio aveva il tubo orizzontale tagliato ed aggiuntato senza aver compromesso, per fortuna, le congiunzioni.
Per questo motivo l’acquisto poteva sembrare avventato ed in effetti lo sarebbe stato se non avessi confidato nella mia amicizia di lunga data con Alberto Masi al quale, dopo aver fatto sabbiare il telaio portai lo stesso per il tentativo di restauro. Appena Alberto lo vide mi disse: “Paolo questo lo ha costruito nelle mia officina, Mario Confente, ma il problema grosso è che i tubi Reynolds 753 con cui è costruito hanno le misure francesi, di conseguenza anche le congiunzioni hanno i fori con misura francese e, o trovi dei tubi Reynold 753, o non si può riparare”. Io fui felice per il responso (l’ha fatto Mario Confente), ma capivo la difficoltà di reperire quel tubo di misura diversa. Apro una piccola parentesi sui tubi serie 753, che sono leggerissimi, quindi difficili da saldare, i tubi per i telai di bicicletta sono a spessore differenziato, più spessi alle estremità per sopportare la saldatura, e più sottili al centro, es.: i Columbus SL hanno misure 0,9 – 0,6 – 0,9 i Reynolds 753 al centro sono 0,3. Da quel momento ho cercato in tutto il pianeta i 753, ma l’unica possibilità era acquistarli alla Reynolds in Inghilterra, ma la stessa ne forniva solo 6 serie alla volta con un costo assurdo. L’unico che poteva risolvere il mio problema era Alberto Masi che possiede un piccolo magazzino di tubi fin dai tempi in cui i telai erano costruiti in acciaio. Gli ho letteralmente rotto le scatole per mesi fin quando un giorno, verso la fine del 2017, mi telefonò dicendomi che aveva trovato i tubi francesi e quindi , poteva procedere alla riparazione che prevedeva lo smontaggio di due tubi senza danneggiare le congiunzioni, che con quelle misure francesi sono introvabili.
E così, caro Troppebici, ora puoi ammirare le foto di questo capolavoro di Mario Confente, che come sai era, a metà anni 70, l’allievo preferito di Faliero Masi che, prima lo aveva prelevato dalla sua officina di Montorio Veronese per portarselo a Milano, poi lo aveva portato con sé in California per organizzare la produzione della Masi America. Mario, purtroppo, morì giovanissimo e i suoi capolavori in America hanno raggiunto valori enormi.
A presto, ……….
Bella e triste storia di un sogno infranto troppo presto. Ma i sogni son così evanescenti…. ma non le bici da sogno……
si Marco, sono d’accordo con te
bellissimo articolo e bellissima storia!
si, bellissima storia, grazie Marco
Hello,
i own an outer chainwheel (53t) like shown on this incredible bike. Please contact me if you are interested.
Nick